Addio a don Pierluigi Di Piazza: perché dobbiamo continuarne l’opera
Con la morte di don Pierluigi di Piazza non scompare solo un prete di frontiera: l’Italia perde una delle sue personalità più rilevanti in campo sociale e culturale degli ultimi decenni.
Don Pierluigi Di Piazza è stato continuatore del pensiero e dell’opera di Ernesto Balducci di cui si è appena celebrato il trentennale della morte (25 aprile 1992) e ha saputo coniugare profondità di pensiero e capacità di azione creando un luogo per molti aspetti straordinario come il Centro Balducci di Zugliano alle porte di Udine. Qui l’accoglienza dei rifugiati ha con-vissuto – nel senso etimologico del termine, ovvero di vivere insieme – con l’elaborazione di un pensiero in cerca di risposte alle grandi sfide della contemporaneità, a cominciare da quella delle migrazioni. Il Centro Balducci da oltre vent’anni è infatti uno dei grandi luoghi della cultura in Italia, che lontano da altri luoghi, altisonanti ma spesso vuoti di ogni contenuto, e che si ricordano solo per qualche ricco buffet, ha proposto agli studiosi e alla gente comune occasioni di incontro, riflessione ed elaborazione portando in un piccolo paese friulano personalità da ogni parte del mondo. E lo ha fatto senza compromessi e senza entrare nel giro dello scambio di favori che così spesso caratterizza la vita pubblica italiana. Don Pierluigi e, con lui, tutti coloro che hanno dato vita al Centro Balducci hanno agito con apertura mentale e rigore morale pagando tale scelta spesso con l’isolamento e il fastidio di buona parte della stessa politica, che oggi unanime esprime le sue condoglianze alla morte di un prete sempre stato scomodo.
L’accoglienza non come pietoso gesto caritatevole ma come riconoscimento di diritti a coloro che non hanno diritti è stato il cuore dell’esistenza di Pierluigi e dell’attività del Centro Balducci, nella consapevolezza che l’accoglienza è il fondamento di una scelta etica e politica di rinnovamento, capace di fare spazio all’Uomo planetario di padre Ernesto Balducci.
Come scriveva don Pierluigi nel 2016, “C’è una sola possibilità che comunica umanità e favorisce esperienze e processi di umanizzazione, l’unica degna dell’uomo: quella di riconoscere l’uguale e pari dignità di ogni persona che vive sul pianeta, qualsiasi sia la sua situazione e condizione esistenziale, senza se, ma, però o parentesi: da chi è disabile a chi è in carcere, a chi è nomade, a chi è omosessuale e transessuale, a chi arriva come profugo fra noi” (Pierluigi Di Piazza, Il mio nemico è l’indifferenza, Ed. Laterza 2016).
A noi tutti il dovere di continuarne l’opera.
E’ una grave perdita. Abbiamo però la convizione che quanto seminato da Pierluigi è germogliato. Ora dobbiamo curare e sostenere i germogli che possono cambiare la politica e la cultura che non sa guardare oltre