Dal G8 di Genova a oggi: l’urgenza di un cambiamento che non può più attendere
La gravissima vicenda che ha nuovamente investito l’Arma dei carabinieri per ciò che è accaduto nella caserma di Piacenza non può essere relegata, come avvenuto troppe volte, ad un fatto isolato né può trovare spiegazione nella facile motivazione delle “mele marce”. Troppo gravi, ripetuti e sistematici sono infatti i fatti contestati per non illuminare una problematica generale.
Siamo, in questo fine luglio, al 19esimo anniversario di quanto avvenuto al G8 di Genova, che ha rappresentato il più grave episodio di violenza di polizia accaduto in Europa negli ultimi decenni. Dopo il G8 tutti ricordano i casi di Aldrovandi, Uva, Magherini, Cucchi che tuttavia non sono affatto gli unici ma solo quelli che hanno avuto clamore mediatica. Sono in particolare i “soggetti deboli”, ovvero coloro che hanno – anche solo nella percezione diffusa – meno diritti di altri, o che sono percepiti come persone di serie B, coloro con i quali è facile scivolare in un approccio “muscolare”. È accaduto infatti così anche nella caserma di Piacenza, nella quale sono stati proprio i soggetti percepiti dai loro aguzzini come marginali e privi di potere (tra loro, non a caso, molti immigrati) a essere i destinatari delle violenze e delle manifestazioni di disprezzo e umiliazione. Grandissimo allarme suscitano in particolare, in tutta Italia, gli incessanti episodi che si segnalano nelle carceri (si veda proprio in questi giorni i fatti gravissimi di Torino) e nei famigerati centri di detenzione amministrativa per gli stranieri (CPR) come quello di Gradisca d’Isonzo, nel quale in soli sei mesi ben due persone sono morte in circostanze ancora oscure.
Ciò che colpisce di più nei fatti accaduti nella caserma dell’orrore è che gli autori delle violenze agivano come se il loro comportamento fosse normale manifestazione del proprio potere e che ne sarebbero pertanto rimasti impuniti, come molte volte è accaduto. Una situazione che non deve ripetersi anche questa volta: l’inchiesta dovrà essere rigorosa e i vertici dell’Arma dovranno dare prova di massima trasparenza e collaborazione.
Nell’approcciare queste problematiche sarebbe un grave errore pensare che si tratti di questioni che non riguardino in profondità anche l’Italia ma sole altri Paesi (e il pensiero corre subito agli USA). Al contrario, i problemi di fondo sui ruoli e sulle modalità di intervento delle varie forze di polizia in Italia, sulla formazione del personale, sul codice di condotta e sulle misure di controllo interno sono ancora tutti aperti e non affrontati da anni.
È necessario, in una società democratica, non rimuovere questi temi scomodi né gridare scompostamente a una lesa maestà quando vengono sollevati, ma al contrario metterli al centro della pubblica riflessione perché non si tratta di temi secondari ma del cuore stesso della democrazia.