Non è una tragica fatalità
La morte per stenti del giovane rifugiato siriano, avvenuta in Slovenia lungo la cosiddetta “rotta balcanica”, non è un singolo fatto tragico segnato dalla casualità, bensì la manifestazione di una situazione drammatica che riguarda le migliaia di persone – uomini, donne e bambini – in fuga lungo la via terrestre dei Balcani. Quella morte sarebbe potuta avvenire a Trieste o in altri punti della rotta, e si aggiunge ad altre morti già avvenute.
Da tempo ICS evidenzia – rimanendo però inascoltata – le serie condizioni psico-fisiche nelle quali coloro che hanno percorso la rotta balcanica arrivano a Trieste. Si tratta di persone stremate da viaggi compiuti in condizioni estreme, ferite nel corpo e nella psiche dalle violenze subite dalle diverse forze di polizia dell’area balcanica (da quella croata in particolare), rispetto alle cui inaudite responsabilità sono innumerevoli oramai i rapporti internazionali di condanna, rimasti anch’essi finora del tutto ignorati.
Solo la generale giovane età e il buon stato di salute dei migranti hanno finora evitato che anche sulle strade di Trieste o del Carso, magari di notte, vengano recuperati dei cadaveri. L’emergenza umanitaria in atto, con l’inverno alle porte, richiederebbe attenzione da parte della cittadinanza e delle istituzioni, con l’organizzazione di interventi di monitoraggio e immediato intervento umanitario, specie nei confronti di coloro che per timore di avvicinarsi ai servizi o per una temporanea mancanza di posti (situazione che purtroppo a volte accade), non hanno un immediato accesso alle misure di accoglienza e cercano temporaneo riparo dove possono. Nulla di tutto ciò sta avvenendo.
In una città sempre più imbarbarita e violenta la discussione pubblica rimane dominata dall’ossessione dei respingimenti: ciò porta spesso le persone a nascondersi, a fare percorsi pericolosi e ad affidarsi alle rete criminali, che così alzano il prezzo dei loro servizi. Tutto ciò mentre le urla scomposte degli imprenditori dell’odio aizzano contro i migranti, adesso anche attraverso l’uso dei cani. Occorre invece un profondo cambiamento di atteggiamento e una rinnovata spinta verso un senso di umanità e di convivenza civile, prima che siano irrimediabilmente perduti. Affinché nessuno muoia sulla rotta balcanica, a Trieste o altrove.