Sintesi dell’audizione di Gianfranco Schiavone alla Commissione parlamentare Schengen su diritto di asilo e riammissioni in Slovenia
Il diritto di presentare una domanda di asilo è un diritto fondamentale, tutelato dall’art. 10 comma 3 della Costituzione, che non può subire limitazioni o compressioni. Ugualmente il diritto dell’Unione prevede che le autorità di un paese UE sono tenute a rispettare la manifestazione di volontà di un cittadino di un paese terzo che intenda chiedere asilo, nel territorio, alle frontiere interne o esterne, nelle aree di transito.
Dal momento della manifestazione di volontà di chiedere asilo lo straniero va trattato come richiedente protezione internazionale e ciò obbliga lo Stato a: collocare la persona in accoglienza se priva di mezzi, attivare la procedura per l’individuazione del paese competente a esaminare la domanda di asilo se si ritiene che si tratti di altro paese, informare il richiedente in un colloquio tenuto in una lingua che il richiedente può comprendere.
Solo una volta che l’autorità ha accertato quale sia il paese competente a esaminare la domanda, se diverso da quello nel quale il richiedente si trova temporaneamente, si potrà procedere al trasferimento emanando un provvedimento specifico. Nessun trasferimento di un richiedente asilo da uno stato a un altro può avvenire al di fuori delle garanzie previste dal Regolamento. Specie se vi sono “fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro”.
Nessuna “riammissione” o rinvio o trasferimento o come dir si voglia da uno stato UE ad un altro limitrofo è dunque possibile per i richiedenti asilo, senza la formalizzazione della domanda di asilo da parte dello Stato che riceve la domanda stessa e senza il rispetto delle procedure previste dal Reg. Dublino III.
Anche ammettendo che l’accordo bilaterale tra Italia e Slovenia sia in parte applicabile – e ciò è assai dubbio trattandosi di un accordo mai ratificato dal Parlamento come previsto dall’art. 80 della nostra Costituzione – in ogni caso questo non può mai derogare alle leggi vigenti in Italia o alle norme dell’Unione Europea o derivanti da fonti di diritto internazionale, come nel caso del diritto d’asilo.
Per quanto riguarda la presunta legittimità della procedura di riammissione, faccio notare che ogni azione messa in atto dalla pubblica amministrazione nei confronti di una persona, cittadino o straniero, che incida su interessi legittimi o diritti soggettivi è non solo registrata agli atti della stessa pubblica amministrazione ma è un provvedimento motivato in fatto e in diritto e notificato alla persona destinataria di quella misura.
Le riammissioni alla frontiera sono state talvolta variamente nominate “restituzioni” o “riconsegne” e ne è stata negata la natura di atto che incide sulle libertà fondamentali. Si è giunti persino a negare la sussistenza della giurisdizione italiana affermando (come ha fatto il Ministero dell’Interno) che la persona rintracciata si trovi di fatto ancora nella giurisdizione slovena. Si tratta di tesi assolutamente non sostenibili perché è pacifica la sussistenza della giurisdizione italiana ed è chiara la sussistenza di diritti fondamentali in gioco.
Il fatto che non si tratti di un respingimento in quanto siamo a una frontiera interna della UE non modifica la necessità del rispetto delle garanzie giuridiche inviolabili, né toglie alla azione messa in atto (l’accompagnamento coattivo in altro stato) la natura di misura che incide sulla libertà personale. Non esistono zone-limbo dove non vigono comunque i diritti fondamentali e il rispetto dell’ordinamento giuridico.
Per quanto riguarda infine le “pattuglie miste” tra forze di polizia italiane e slovena nel controllo della frontiera, di cui si è annunciato l’imminente ripresa, esse avrebbero lo scopo dichiarato di contrastare il traffico internazionale di esseri umani. Lo scopo è assolutamente condivisibile ma molto meno lo è lo strumento che si intende adottare, in quanto il contrasto al favoreggiamento è attività che dovrebbe essere attuata a livello trans-nazionale, con accordi di intelligence, scambi di dati, inchieste congiunte, ovvero con attività che ben poco hanno a che fare con il pattugliamento della area di frontiera vicina al confine. Questo pattugliamento sembra invece rispondere ad altra finalità: intercettare i cittadini stranieri nelle immediate vicinanze della frontiera interna al fine di impedirne l’attraversamento nella direzione dell’Italia.
Richiamo qui quanto disposto dall’art. 19 comma 1 del TU immigrazione, norma novellata dalla L. 173/21 che prevede che
“Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nella valutazione di tali motivi si tiene conto anche dell’esistenza, in tale Stato, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani.”
È noto che la situazione dell’effettivo rispetto del diritto d’asilo in Slovenia in questo periodo è quanto mai critica. Le disfunzioni sulla procedura di asilo sono forti e sistemiche e soprattutto la Slovenia attua delle riammissioni sistematiche verso la Croazia impedendo ai cittadini stranieri di accedere alla procedura di asilo.
Ritengo che l’Italia non possa quindi in queste circostanze, partecipare indirettamente, con propri uomini e mezzi, alla realizzazione di prassi di riammissione dei richiedenti asilo verso la Croazia, e da lì, con un meccanismo a catena, attuato anche con l’uso di violenze efferate, in Bosnia dove non ci sono le condizioni minime per garantire una protezione adeguata ai richiedenti asilo e le persone sono esposte a violenze continue e a trattamenti inumani e degradanti.
Di seguito il video con l’intervento completo di Gianfranco Schiavone: