Una tragedia voluta e non isolata che urla la necessità di un cambiamento profondo
Alcuni giorni fa una bambina di 10 anni, che si trovava con la madre e i tre fratelli, è annegato nel fiume Dragogna, al confine tra Slovenia e Croazia. La tragedia è avveniva il 10 dicembre 2021, proprio nella data nella quale ricorre la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Alcune considerazioni appaiono necessarie affinché questa tragedia non rimanga priva di conseguenze e venga rapidamente dimenticata come molte altre.
Il Governo sloveno ha cercato di presentare la tragedia come un semplice incidente che non sarebbe accaduto se la madre avesse scelto di non intraprendere quel pericoloso sentiero e avesse scelto di rivolgersi direttamente alle autorità di confine. Si tratta tuttavia di una descrizione del tutto falsa e fuorviante dei fatti accaduti: la signora turco-kurda, in fuga dal suo Paese e che cercava asilo in Europa, era infatti stata costretta, come migliaia di altre persone (tra cui famiglie, donne e bambini), a scegliere percorsi pericolosissimi per evitare i respingimenti illegali. I quali vengono mascherati dal nome dolce di “riammissioni”, attuate dalla Slovenia in modo sistematico impedendo l’accesso nel suo territorio ai rifugiati anche erigendo – come avviene proprio sul fiume Dragogna – barriere di filo spinato per impedire fisicamente ogni attraversamento.
In aperta violazione delle norme dell’Unione Europea sul diritto d’asilo, persino a seguito di questa tragica morte è accaduto ciò che sempre accade: la madre è stata respinta in Croazia insieme ai bambini superstiti, con noncuranza del minimo senso di umanità.
La tragedia che è accaduta sul fiume Dragogna, come tutte le altre morti invisibili lungo la rotta balcanica (il numero dei morti lasciati a decomporsi nei boschi e nelle montagne della Slovenia, della Croazia e della Bosnia rimane infatti un dato non conosciuto e non indagato), non è quindi un malaugurato incidente ma è frutto diretto della scelta, lucidamente perseguita dalla Slovenia come da altri Paesi (e tra essi anche l’Italia per almeno l’intero anno 2020 con le riammissioni illegali), di violare il diritto d’asilo e in particolare il divieto di non respingimento su cui si basa il sistema internazionale di tutela dei rifugiati.
La tragedia accaduta sul fiume Dragogna non va seppellita rapidamente sotto false parole di cordoglio, ma deve portare la Slovenia a cambiare profondamente la sua inaccettabile politica di disprezzo del diritto d’asilo.